Abbiamo iniziato a pensarlo così forte che alla fine è successo. Abbiamo comprato casa a Parigi.
I compromessi
Sono stata anche io una giovane che ha diviso il bianco dal nero e del grigio non aveva mai sentito nemmeno parlare. Semplicemente non era un’alternativa né un’opzione. Crescendo mi sono affezionata a questa zona grigia che proprio come la materia, mi sembrava volesse raccontarmi qualcosa di intelligente. Spesso ho trovato nel grigio la soluzione a molti problemi, non negli estremi ma in quel mélange di soluzioni. Ho iniziato a pensare che il grigio non era poi così male. Anche se poi quando è apparsa la parola compromesso ho dovuto ricominciare da capo, una relazione di fiducia. I compromessi sembrano una sconfitta, invece spesso sono una saggezza che nessuno vuole dire. I compromessi sono dei grandi, non dei giovani e nemmeno dei bambini. I compromessi ti chiedono di rispondere alla domanda “cosa sei disposto a perdere?”
Quando compri casa i compromessi sono molti. Quando compri casa a Parigi i compromessi sono ancora di più.
Fai compromessi tra la bellezza e il budget, tra i mq e le esigenze, tra i tempi tuoi e quelli della banca, tra i tempi tuoi e quelli dell’impresa dei lavori, tra lo charme dell’ancienne e la decadenza di certi parquet e i muri storti, tra i tuoi interessi e quelli dell’agenzia immobiliare, tra la perfezione e il fascino, tra la meravigliosa vista sui tetti e la fatica di 6 piani senza ascensore (c’è un eccesso di fatica da pagare come tributo alla bellezza), tra l’opinione del notaio e quella di chi vende, tra i lavori che vorresti fare e quelli che puoi permetterti, tra i mobili che sarebbero perfetti e fuori budget e quelli che sono belli e nel budget. Vai avanti così con la consapevolezza che stai perdendo un pezzo di te a ogni transazione, a ogni decisione, a ogni mattonella. Decidi cosa è più importante anche se nella tua mente tutto sembra importante all’inizio. Poi scegli cosa sacrificare e lo guardi andar via e scolorire lentamente in una vecchia moodboard che ti fa ciao ciao con la manina.
Non c’è stato un colpo di fulmine: abbiamo valutato ogni aspetto, eppure senza saperlo avevamo intuito che in quei 57 metri quadri si condensavano particelle della nostra vita che avrebbero trovato il tempo o lo spazio di depositarsi facendoci sentire a casa anche in terra straniera.
Io e Roberto abbiamo comprato casa lunedì 15 novembre 2021.
Questo è un fatto straordinario per molti motivi:
- non pensavo sarei mai riuscita a comprare una casa nella mia vita. Non era nemmeno una cosa che avevo messo nella to do list delle cose da fare per non sentirmi una fallita. L’ho fatto con un mutuo e senza l’aiuto di nessuno: né lo stato, né un patrimonio, né genitori facoltosi, né uno zio d’America, né la vendita di un altro appartamento di cui mi sarei pippata la rendita. Niente. Ogni cm è frutto di lavoro durissimo, intuizioni, testa bassa, capacità e ambizione tutto moltiplicato per due e qui, andiamo direttamente al punto successivo.
- L’ho comprata con Roberto. Questo dato è interessante, soprattutto perché è stato lui a propormelo e conoscendo Roberto ecco, mi ha sorpreso. Significa molto per noi due singolarmente, significa molto per la nostra coppia. È un “voglio stare davvero con te per i giorni che verrano” sussurrato tra i capelli e le scapole.
- L’appartamento è molto parigino, con il parquet sgarrupato, nemmeno un muro dritto, le crepe sui muri, i battiscopa uno diverso dall’altro (a volte anche diversi pezzi sullo stesso muro), la carta da parati sopra altra carta da parati, i tubi a vista che fanno dei giri strani e poi ritornano. Per un qualsiasi italiano tutto questo potrebbe sembrare inaccettabile (soprattutto se sapesse che i prezzi delle case parigine partono da 10.000 euro al mq). Eppure a noi piace, la volevamo proprio così, imperfetta e piena di fascino.
- L’edificio è del 1895: significa che il nostro appartamento ha visto 126 anni di storia e di storie. Nell’atto di vendita hanno ricostruito i passaggi di proprietà di chi ha comprato negli anni il nostro appartamento e l’ho trovato una cosa super affascinante. Nomi che si alternano, morti, eredità, donne sole che trovano altre donne sole a cui cedere le 4 mura in cui abitano. Quanta storia in quelle assi dissestate. Assaporo il piacere di sentirmi contenuta da un’architettura che mi lega a un passato anche se non è il mio e si lascia abitare di nuovo.
Cosa cercavamo, cosa abbiamo trovato
La cercavamo a est. Desideravamo l’appartamento nel 10, nell’11, nel 12 o nel 20. Siamo nel nordest parigino, nel 19esimo arrondissement al confine con il decimo, tra il Canal Saint Martin e il Bassin de la Villette. Era la zona che potevamo permetterci considerando che volevamo almeno 50 mq.
Cercavamo silenzio e silenzio ce n’è in abbondanza. Tutte le finestre si affacciano su due corti interne e private e sopra abbiamo una soffitta.
Nel nostro attuale appartamento da un anno e mezzo dormiamo a singhiozzi grazie a una simpatica bambina nata l’anno scorso al piano di sopra. Da qualche settimana un gruppo di ragazzi si ritrova sotto la finestra fino alle 2 di notte con le auto accese, la musica, i fari, le discussioni a voce alta. In effetti mentre lo scrivo mi sento un po’ la vecchia rompipalle che non sopporta più niente, però se penso a una cosa sacra per me, è proprio il sonno. Io devo dormire.
Cercavamo luce e all’ultimo piano non manca. Abbiamo trovato un’esposizione principale a Nord-Ovest, una a Sud e una a Sud-Est. Luce soffusa e morbida tutta la giornata per la maggior parte, intensa e calda al centro della giornata da una delle finestre.
La volevamo antica. Che avesse un sapore, una storia, che facesse dell’imperfezione una romanticheria. L’abbiamo trovata sui tetti di zinco. Tre finestre con piccoli balconcini che guardano su altri tetti. Ho consacrato il mio account Instagram al racconto piuttosto puntuale di cosa sta succedendo dal rogito a tutto pronto.
Volevamo un 3T, che vuol dire 3 ambienti (senza considerare cucina e bagno) e questa è un 2T. Con un po’ di lavori riusciremo a spostare la cucina in sala e recuperare una stanza per farla diventare uno studio. Così ci saranno un grande salone con cucina, la camera da letto, lo studio di Robi e mio di registrazione, il bagno.
Ristrutturare, abitarsi, traslocare
Il 9 dicembre sono partiti i lavori che dureranno fino a febbraio. Un tempo necessario per veder trasformare una generica casa che ci è piaciuta, in qualcosa che ci appartiene di più e che potremo abitare come piace e serve a noi. Abitare in fondo è abitarsi. Trovare una corrispondenza tra mura esterne e pareti interiori, liberarsi dal passato, riparare vecchie ferite, scegliere di creare qualcosa dentro una stanza che ci corrisponde pienamente, impregnarla dei nostri gusti e delle nostre abitudini.
Lo sanno gli architetti che costruire o ristrutturare è come proporre una psicoterapia, in cui un sintomo non è mai solo, è collegato a fatti, cause, altri sintomi. Così per la casa non si può risolvere un problema di una singola stanza senza toccare il significato simbolico che le corrisponde e senza metterla in relazione con le altre stanze: la sala il luogo della parola e della socialità, la camera da letto, la stanza del riposo e dell’eros, dove vita e morte si mischiano, il bagno, l’angolo della verità, come se fosse uno specchio che ci guarda da dentro e che ci aiuta a ripararci, la cucina, il luogo dove i sentimenti si mettono nel piatto e diventano sveltine, lunghe storie d’amore o di abbandono. Anche la distribuzione degli oggetti nello spazio dice qualcosa di noi. Sarà bello scoprirsi tra palette e geometrie.
Traslocheremo a fine febbraio. Per i miei gatti è il sesto trasloco, per me e per Robi l’ottavo (non gli stessi). È sempre una rivoluzione traslocare. Il trasloco è un disorientamento, una fila di lutti delle coordinate quotidiane: spariscono i vecchi vicini, i vecchi negozi, i soliti tragitti. Dopo 7 traslochi, posso dirlo: la fatica mentale sorpassa di gran lunga lo sforzo fisico (ma vedremo come ce la caviamo con il sesto piano senza ascensore. Già smontare la cucina e portarla giù è stato un dolore lungo tre giorni, alla schiena). Come sempre riconosco i primi segnali: perdo le chiavi di casa, gli oggetti iniziano a rompersi, non trovo le cose nei soliti posti. Sono le resistenze che si mettono in atto, perché traslocare domanda coraggio e capacità di proiezione, comporta dei rischi. Ma è anche un viaggio immaginario, una trasformazione, una rinascita, un processo di pace. Senza dimenticare che Roberto è il compagno reale perfetto per questo nostro viaggio immaginario.
Foto in evidenza e ultima foto nella notte di Matteo Pezzi.