Gli stereotipi, come dice il mio essere umano preferito, sono metà veri, metà falsi e ognuno vede la metà che gli fa più comodo.
Noi italiani nel mondo siamo conosciuti per essere latin lover, mammoni, eleganti. Parliamo con le mani, mangiamo pasta e pizza, beviamo caffè troppo corti, giriamo in vespa in un eterno film di Fellini. Sullo sfondo, la mafia e i mandolini fanno il resto.
Gli stereotipi sono scorciatoie mentali che usiamo per semplificare e che a volte semplificano un po’ troppo.
Parigi vista da fuori
Nell’immaginario collettivo, la Francia diventa Tour Eiffel, maglietta a righe e basco, baguette sotto l’ascella, vino e formaggio. I francesi diventano snob, aggressivi, libertini, sexy, fedifraghi, non si lavano, non si depilano, sciopero!
Gli anglosassoni hanno molto raccontato i loro soggiorni in Francia: da Paris est une fête di Ernest Hemingway a Un anno in Provenza di Peter Mayle, passando per il meno lusinghiero A Year In The Merde di Stephen Clarke. Se fai un giro a WH Smith in Rue de Rivoli trovi volumi di ogni genere su questo argomento.
Già nel XVIII secolo Jean-Jacques Rousseau aveva iniziato a coltivare l’immagine del parigino superficiale, seducente, interessato alla moda e agli aspetti materialistici. Poi ci sono stati Gene Kelly in Un americano a Parigi, Nicole Kidman in Moulin Rouge, Owen Wilson in Midnight in Paris: le star di Hollywood hanno spesso portato il pubblico internazionale in una capitale francese piena di cliché e spesso scollegata dalla realtà.
È un problema questo? Per capirlo bisognerebbe discutere su qual è il ruolo della narrativa. E del cinema? Si può goderne sapendo che non è realistico o si riesce a goderne proprio perché non lo è? Ci vorrebbe un discorsone e non è quello che intendo fare ora, ma magari ne riparliamo.
Sicuramente questa visione implica un problema di rappresentazione e di false aspettative. Vieni a Parigi e pensi che andare al Café de Flore a metà mattina o lavorare di fronte al Louvre sia la normalità.
Gli stereotipi sui parigini: Emily in Paris
I francesi non sono particolarmente noti per la loro simpatia. Forse anche per questo non hanno preso benissimo l’uscita su Netflix di Emily in Paris, una serie tv che parla di questa giovane ragazza americana che sbarca a Parigi per lavorare in un’agenzia di marketing.
La penna di Darren Star, già sceneggiatore di Sex And The City, Beverly Hills 90210, Melrose Place, disegna in 10 puntate una Parigi molto glamour abitata da parigini molto sgradevoli.
Ricordandosi che fino a qualche anno fa qui la ghigliottina era ancora in voga, il sig. Star si è giustificato dicendo che Emily in Paris non è un documentario come non lo era Sex And The City. I francesi che guardano Sex And The City hanno una visione idilliaca di New York che è simile a quella degli americani che guardano Parigi attraverso Emily. Chi apprezza questa serie vuole sognare, non vedere le cose come sono.
Sin dalle prime scene ci arriva una Parigi da cartolina: una città photoshoppata per essere il più instagrammabile possibile. Le strade sono pulite, nessuno prende mai la metropolitana, tutti i luoghi che si vedono trasudano lusso e piacere, i personaggi sono tutti ben vestiti e pronti per un meeting o una serata di gala. Sembra che Darren Star non sappia che esistono anche arrondissement a due cifre ma pare abbia sentito parlare di Catherine Deneuve.
Irreale è anche la chambre de bonne in cui si sistema Emily, almeno 30 mq, con un letto enorme, una cucina attrezzata e forse tre finestre. A due passi dal Pantheon.
La chambre de bonne typique dans #EmilyInParis pic.twitter.com/l3Q2IXg2A1
— Pierre-Yves 1er 🇫🇷♥🇧🇴 (@PierreYvesAlJ) October 3, 2020
(Un saluto a Matteo che ha vissuto in una vera chambre de bonne: 11mq con una finestrella angusta, un letto singolo, una seduta per girare la pasta sui fornelli che era al contempo WC e piedistallo per il box doccia)
I parigini di Emily in Paris: uomini gaudenti, donne invidiose
Amanti del vino a tutte le ore e della carne al sangue, dediti alle sigarette (nella Parigi di Darren Star si fuma ancora in ufficio), arroganti e sgradevoli, non molto avvezzi a comprendere gli stranieri, naturisti, pigri (“flâneur” prego).
I personaggi maschili della serie sembrano usciti da un catalogo Abercrombie & Fitch. Incredibili amanti, quasi tutti grossolani, fatta forse eccezione per il vicino di casa di Emily che le fa scoprire l’omelette (ma davvero in America non sanno della loro esistenza?). Quei vicini lì non esistono ve lo dico subito, questa è l’unica cosa certa che so.
Bientôt 10 ans que jhabite a Paris et je n’ai jamais eu un voisin aussi beau #EmilyInParis pic.twitter.com/P4fnbkwtfN
— Bérénice (@berenicelgs) October 4, 2020
Il mio vicino per esempio è bulgaro, ha una collezione di coltelli che non volete vedere, si arrampica sugli edifici per lavoro, e quando non lavora rischia comunque la vita una sera sì e una no ma solo perché si è rotto di nuovo una gamba se no va a pieno regime.
E le donne? Tutte le donne sono magre, ricche, uscite da una sfilata di moda, hanno molti amanti e sono tanto open mind da essere al corrente delle amanti del marito.
La capa di Emily la odia furiosamente, una fioraia si rifiuta di venderle un bellissimo bouquet di rose che costa solo 6 euro (siamo decisamente in un mondo parallelo) chissà perché. Perché americana? Perché giovane? Perché vestita male? Perché, soprattutto?
Lo sbiancamento della vita
La scorsa settimana ero in coda allo sportello dell’Assurance Maladie ed ero l’unica bianca. Nella realtà alternativa creata da Darren Star tutti sono caucasici, tranne un collega di Emily, nero, lì solo per fare alcune battute impertinenti e un’amica cinese che se ne esce con frasi del tipo: “I cinesi sono cattivi alle tue spalle, i francesi in faccia!”.
In 10 episodi la dimensione cosmopolita e diversificata della capitale è assente. Ed è davvero strano perché è la prima cosa che noti, prima della Tour Eiffel e sarebbe stato molto interessante a livello narrativo, almeno a mio avviso. In ogni caso si può essere parigine senza essere necessariamente, tra le altre cose, bianca, eterosessuale, cisgender e sotto i 40 anni. Ce lo dice Lindsay Tramuta nel suo libro The New Parisienne in cui ritrae le donne che incarnano la Parigi di oggi, da Anne Hidalgo a Inna Modja, da Delphine Horvilleur a Leïla Slimani e Lauren Bastide.
Il parigino è un concetto
Il 78% delle persone che abitano a Parigi non ci è nato.
Da quando sono qui ho conosciuto molti italiani, gente del Sud America, dell’Europa dell’Est, belgi, cinesi, coreani, spagnoli, portoghesi, inglesi, una manciata di francesi e solo due parigini doc. Ce ne sono pochi e quei pochi tendono a non mischiarsi, a stare tra di loro.
Il parigino è un concetto. Quando cerchiamo di visualizzarlo pensiamo alla ragazza con il basco senza calze, all’uomo che scende dal taxi con il rolex, non pensiamo al signore che vive a Belleville con i suoi quattro figli o alla vecchia che porta a spasso il cane e ha messo il suo appartamento su leboncoin en viager, non pensiamo al fattorino di DHL che ascolta musica di dubbio gusto o all’indiana che gestisce insieme al marito il piccolo supermercato di quartiere.
Un giorno a Parigi
Quando Emily esclama “Parigi è piena di amore, romanticismo, luce, bellezza, passione e sesso!” ovviamente non ha mai messo piede sulla linea 13 della metro. Emily in Paris porta avanti la fantasia della città-museo senza problemi, senza sporcizia, senza criminalità, senza vita quotidiana, senza costi. E per sognare va bene così.
Non ho niente in contrario con questa versione per turisti ma vorrei che fosse chiaro, Parigi non è solo alberghi di lusso, vicoletti pittorici, bistrot alla moda. Parigi è bella anche per le sue contraddizioni, per il suo multiculturalismo, perché accoglie tutti anche se poi stiamo stretti. Ed è questo che ti fa passare sopra al costo inaudito della vita, agli scarafaggi negli appartamenti, ai topi lungo la Senna (ma come, su Ratatouille erano così carini?!), all’apero senza niente da mangiare. È bella per i suoi pavimenti di legno che scricchiolano e i picnic a maggio, per i clacson che giri l’angolo e c’è un giardino segreto, per le bici sempre di più, per i suoi eventi di tutti i tipi, per i desideri che a Parigi si mischiano con la fatica e sembra che siano più forti di prima, più raggiungibili, più meritati.
La meraviglia di questa città è nell’abbracciare tutti i suoi lati, ed è ancora meglio lontano dai turisti, nei giorni di pioggia, nei cortili deserti, nelle viste che non sono su nessuna guida e che scopri per sbaglio.
Parigi è molto di più degli stereotipi che possiamo cucirle addosso, Parigi è di chi la ama e di chi la vive con tutti i suoi umori.