Abbiamo fatto una festa per inaugurare la casa a Parigi e celebrare il nostro trasferimento. Questo momento ufficiale dove tutto inizia, qui lo chiamano crémaillère. È trascorso un mese dal quel giorno (era l’8 giugno) e sì, il tempismo potrebbe non essere il mio forte ultimamente.
Se ripenso a quella sera, mi si spalanca un sorriso così: ecco gli amici ritrovati, una moka aggiustata con il trapano, i nostri meravigliosi e pazzi vicini bulgari, alcool in varie forme, un neonato con gli occhi spalancati sul futuro, la promessa di molte altre cene, le olive fritte che un business all’estero potremmo anche provare a farlo, Mina, un dolce con l’ingrediente segreto, lo spazio interstellare negli occhi, un didgeridoo che appare dal nulla, una pianta che vola e da quel giorno non si riprende più, ghiaccio, molto ghiaccio, un frigo pieno di ghiaccio, un Robi che ride felice, un insopportabile divano rosso dentro Maison Lumière. Già, si Paris avess lumieré.
Crémaillère: da dove viene questa parola
Le origini della parola crémaillère sono curiose e me le ha raccontate Annalisa proprio durante la serata.
La parola arriva da la pendaison de crémaillère un’espressione medievale che indica una specie di paiolo per cucinare che si appendeva sopra il camino. A quel tempo, quando si finiva di costruire una casa, si invitavano a mangiare tutte le persone che avevano partecipato alla costruzione. Per cucinare il pasto si usava questo paiolo: la sua presenza dentro un’abitazione voleva dire che la casa era pronta, abitabile. Questo momento segnava la fine del trasloco, era un modo per dire la casa è finita, ora possiamo festeggiare insieme.
Oggi quando in Francia si dice crémaillère si intende l’occasione in cui si invitano gli amici per festeggiare il trasloco (anche quando l’abitazione non ha un camino e anche quando non si è finito del tutto di sistemare casa). È un’occasione per festeggiare e noi abbiamo festeggiato.
Voce del verbo festeggiare
Sin da piccola sono stata abituata a festeggiare. Natale, Pasqua, Capodanno, i compleanni, gli onomastici, ferragosto e tutte le feste che il mercato degli affetti vanta a catalogo. La mia famiglia ha sempre preso molto sul serio le feste: un vero rituale dove l’occasione ci faceva diventare più belli, più felici, dove non vedevo l’ora di mettere il vestito nuovo, il dito nella torta, un abbraccio immortale dentro l’Olympus di papà. Il calendario era una mappa di ricorrenze dove l’inchiostro rosso definiva la prossima meta e dove in mezzo si inserivano i giorni normali. Di questi riti privati la maestra di cerimonia è stata sempre mia madre. Ci tiene, ci ha sempre tenuto, c’è poco da fare, i dettagli sono il suo pane quotidiano.
Le feste erano scuse a tutti gli effetti per dire certe cose ad alta voce, per ringraziare per qualcosa, per esserci. Alcune date erano candeline da spegnere senza fretta, fuochi d’artificio da scoppiare sul balcone, altre con il tempo sono diventate assenze perché gli esseri umani da festeggiare in quella precisa ricorrenza non c’erano più. All’improvviso ci lasciavano una sedia vuota e una tasca piena di silenzio. Mia nonna, l’altra nonna, la zia, lo zio. Anche se le tavolate diventavano sempre più corte noi abbiamo continuato a festeggiare, in barba alla morte.
Da 13 anni, da quando vivo lontano da San Benedetto del Tronto, città dove sono nata, ho smesso di festeggiare il mio compleanno. Niente inviti né invitati, né festoni né torte, né vestito nuovo né balli nella stanza. Non so bene per quale motivo sia andata così, a me infatti piacciono le sorprese e i regali e mi piace anche organizzare le feste per i compleanni degli altri. Non so, forse ho pensato di essere troppo impegnata per fermarmi, che fosse uguale farlo o non farlo, che non mi regalasse nessuna gioia particolare. La verità è che in ogni compleanno finiva sempre che ci infilavo una dose di malinconia, che non era disappunto per il tempo che passava, questo no, era più un pasticcio nelle viscere che mi ricordava di essere lontana da chiunque, una sottolineatura sbavata di una costante mancanza.
Foto di Matteo Pezzi, Isabella Rivoli e altri cari amici non identificati.
Ciao Chiara, ricordo bene di quei giorni intensi di ricerca casa!
Che bello vedervi sorridenti,
sono felice per voi! In Bocca al Lupo per questa nuova vita parigina!
Un abbraccio,
Patty
Ciao Patty! Che fatica, già 🙂 Ma ora siamo qui soprattutto grazie a quella fatica. Un abbraccione